Proseguendo la puntuale ricostruzione storica delle vicende delle imprese italiane all’estero, Carlo Russo, nel suo libro Internazionalizzazione vincente, dopo aver tratteggiato la fase di crisi del sistema tradizionale delle PMI del nostro Paese, ricorda anche le storie di successo internazionale delle nostre aziende. Prime fra tutte la grande moda italiana e le aziende che seppero trasformarsi in gruppi multinazionali, già negli anni ’70 e ‘80. La chiave dell’affermazione internazionale risiedeva nella scelta di puntare su elementi qualificanti della propria offerta, come il marchio nel caso dei grandi nomi del design e della moda, la qualità elevata, vedasi la Ferrero, l’eccellenza tecnologica, l’innovazione e l’automazione degli impianti, come, ad esempio, la Brembo. I fattori su cui far leva per imporsi anche nel contesto globale erano dunque: marchio, qualità, eccellenza, innovazione tecnologica e automazione. Un esempio di affermazione oltreconfine viene da un’azienda come Artsana Chicco, che da anni aveva spostato il centro dello sviluppo sui mercati asiatici, ad Hong Kong. A sua volta, il gruppo Star sviluppò per tempo una visione e una presenza internazionale, diversificando le fonti di approvvigionamento.
Ferrero poteva contare su una distribuzione internazionale, avendo implementato negli anni una strategica diversificazione della produzione e dell’acquisto di materie prime, come le nocciole da tutto il mondo. A riprova delle molteplicità di variabili che possono incidere su un processo di internazionalizzazione Carlo Russo, proprio a proposito di Ferro, ricorda che il colosso italiano ebbe difficoltà in Cina a vendere cioccolato al latte, in quanto oltre il 90 per cento dei cinesi è geneticamente intollerante al lattosio. Questo non impedì loro di copiare anche i celebri cioccolatini Rocher, ma la Ferrero fu una delle pochissime imprese italiane a vincere una causa per concorrenza sleale. Carlo Russo cita i grandi marchi del caffè, come Illy, Lavazza ecc. che hanno avuto la lungimiranza di comprare all’estero le migliori raccolte di chicchi di caffè per importarli e tostarli. A riguardo, esempi di strategia di internazionalizzazione sono il lancio in India, nei primi anni 2000, da parte di Lavazza, di una rete di bar col marchio “Barista” per offrire il rinomato cappuccino italiano, e la decisione da parte di Illy Caffè di puntare sulla presenza nei vari aeroporti. Una strategia ancora diversa assunse Caffe Miscela D’Oro di Messina, focalizzandosi sull’eccellenza della qualità, posizionandosi su una fascia di prezzo elevata e una rete di punti vendita di prestigio, come in Giappone.
Nel settore calzaturiero, il Gruppo IGI di Perugia, produttore di scarpe bambino fino ai 14 anni, iniziò a delocalizzare all’estero, in un primo momento in Romania, e successivamente in Russia. Primigi, a sua volta, decise di produrre in India basandosi su 4 centri di produzione diversi, ognuno specializzato in un componente diversa, in considerazione del fatto che una scarpina da bambino arriva ad assemblare circa 100 elementi differenti. Nonostante venissero prodotte localmente e quindi fossero prive di dazi commerciali, in India le scarpine da bambino avevano un prezzo di acquisto proibitivo per una famiglia media. La Primigi, rinunciò al mercato locale in India, decidendo di non abbassare i prezzi, per non compromettere la strategia di marketing a livello mondiale. Imponendo un prezzo unico su tutti i mercati, proseguì con successo la sua politica commerciale di vendita, in tutto il mondo. Sempre in India, una strategia affatto diversa assunse Monnalisa, una delle aziende leader in Italia per l’abbigliamento di bambini. L’azienda italiana individuò, per il mercato locale con il suo marchio e design, un partner indiano con produzione locale, assicurando prezzi accessibili alla clientela media.
Come sottolinea Carlo Russo quelle appena ricordate sono realtà differenti, che attuano strategie diverse, tutte di successo, in quanto studiate e ben calibrate sulle caratteristiche specifiche della proprietà, del prodotto e del ciclo di vita della azienda.
Questo consente di concludere al manager fiorentino che non esiste una formula magica univoca e adatta per tutte le aziende, ma ognuna ha bisogno di una strategia pensata su misura, “Tailor Made in Italy” per così dire.