Nel suo volume Carlo Russo traccia un interessante profilo storico dell’internazionalizzazione individuandone lo sviluppo a partire dal 1950, quando, grazie agli aiuti economici provenienti dagli Stati Uniti, L’Italia superò un modello economico prevalentemente agricolo, artigianale e legato al micro-commercio per vivere un vero e proprio miracolo economico un miracolo economico. L’Italia degli anni ‘50 sotto la spita della ricostruzione conobbe una ripresa economica senza precedenti. Nacque un tessuto industriale e produttivo costituito da una miriade di piccole aziende che importavano materie prime dall’estero, e producevano e vendevano localmente. In questa fase storica, il numero di aziende italiane presenti sui mercati oltreconfine era ancora molto limitato. Le PMI erano attive principalmente come importatori di materie prime e prodotti. Più forte era, invece, all’estero, la presenza dei grandi gruppi del settore industriale, dell’energia e delle infrastrutture. In quegli anni, l’ingegneria civile, idraulica e mineraria italiana rappresentava un’eccellenza riconosciuta nel mondo.
Basti citare, a titolo di esempio, tra tutte le grandi opere realizzate dagli italiani all’estero, lo spostamento del Tempio di Ramses II ad Abu Simbel, in Egitto, in seguito alla decisione di realizzare la diga di Assuan sul Nilo. Un progetto studiato e realizzato, dal 1963 al 1968, dagli ingegneri italiani della Salini Impregilo. Fu un vero e proprio miracolo di ingegneria, che rese i nostri tecnici famosi in tutto il mondo. Da quel momento, nota Carlo Russo, le aziende dell’Istituto di Ricostruzione Industriale (la famosa IRI), si affermarono a livello mondiale per le opere di genio civile, stradale, minerario, infrastrutturale, navale ed idraulico. Sempre in quel periodo, conobbe un rapidissimo sviluppo anche l’ingegneria meccanica al traino dell’industria meccanica, ferroviaria automobilistica e di tutti i relativi componenti.
Anche l’industria di trasformazione di materie prime importate dall’estero registrò un notevole sviluppo, permettendo la realizzazione di prodotti venduti localmente nel mercato italiano, come ad esempio, posateria, minuteria metallica, rubinetteria, pentolame, e i componenti per l’edilizia, ecc.
Il mercato italiano, ricorda il manager fiorentino, era in crescita e i consumatori avevano ancora bisogno di soddisfare i bisogni primari, legati all’alimentazione, all’abbigliamento, alle scarpe e alla vita quotidiana in genere, attraverso l’acquisto di beni di primo consumo. In breve tempo, una volta soddisfatti i bisogni primari di sopravvivenza ai rischi della guerra, ovvero cibo, vestiti e casa, i consumatori passarono alla soddisfazione dei loro bisogni secondari, al fine di migliorare la loro qualità di vita e d’informazione.
Lo sviluppo dell’industria con la conseguente richiesta di manodopera, che nascevano al nord, come nel caso della Fiat a Torino, spinsero i giovani ad abbandonare progressivamente le campagne, i paesi e le piccole città, per trasferirsi nelle grandi città, accanto ai grandi conglomerati industriali. Questo fu alla base una profonda trasformazione delle abitudini e delle tradizioni sociali, così come della geografia della famiglia, della prima casa e della rete di approvvigionamento di beni e servizi, attraverso la creazione e lo sviluppo di nuovi negozi, centri commerciali e primi mercati.
Questa fase fu caratterizzata da una grande richiesta di importazioni di materie prime e prodotti dall’estero e da una scarsissima propensione alle esportazioni. Le PMI non avvertivano ancora grande necessità di guardare ai mercati esteri. Lo sviluppo urbano delle grandi città produsse il bisogno di nuova edilizia, sia civile che industriale. Fiorirono cantieri ovunque e aumentò notevolmente l’assorbimento di materiali da costruzione, di acciaio, di ferro, di tondini per cemento armato, di energia e di materie chimiche. L’industria pesante lavorava a pieno ritmo, con forti richieste di importazione di materie prime a prezzi ancora accessibili a causa del basso costo del petrolio e del trasporto via nave.
Il progresso economico e il crescente interscambio di merci e prodotti, indusse le famiglie a maturare la necessità di doversi muovere sia per lavoro, con i treni e con le prime auto, sia per studio ed infine, sia per tornare nei paesi d’origine. L’industria automobilistica rappresentò uno dei grandi traini per la costruzione di strade e delle prime autostrade negli anni ‘60. Una analoga crescita fu registrata anche dall’industria ferroviaria per la necessità di trasportare le merci su rotaia. Allo stesso tempo, lo sviluppo eccezionale della radio e della televisione stimolò il bisogno, da parte delle persone e soprattutto dei giovani, d’informarsi e partecipare ad una vita sociale.
Osserva Carlo Russo, che si poté determinare il passaggio dal soddisfacimento dei bisogni primari a quelli secondari e poi a quelli di autorealizzazione e di distinzione sociale: dalla paura della fame e del freddo dell’immediato dopoguerra, l’Italia era passata alla ricerca del primo benessere, alla voglia di leggerezza e divertimento per superare la triste e dolorosa epoca della guerra. Ci fu, quindi, una vera e propria esplosione della voglia di divertirsi, di esorcizzare la paura della morte e di celebrare il ritorno alla vita. Cinema, radio e televisione portarono nelle case nuovi modelli di consumo, altre idee e altre proposte commerciali, che funsero da stimolo sia all’importazione che alla produzione locale. Gli italiani conobbero per la prima volta la pubblicità, il Carosello e il modello americano: dalle abitudini alimentari, agli elettrodomestici, alla moda, ai format cinematografici e televisivi.
La maggiore disponibilità di reddito e di spesa permise alle persone di incrementare il proprio status, con case più grandi e confortevoli, con migliore qualità, funzionalità e pregio dell’arredamento, anche degli uffici. In questa congiuntura storico economica le PMI italiane erano totalmente impegnate nelle vendite nel mercato interno non curandosi minimamente dell’export. Di esperti d’internazionalizzazione ne giravano pochi, se non quelli che gli Stati Uniti inviava in Italia per guidare lo sviluppo economico. La crescita incrementale della domanda interna era assorbita totalmente dalla produzione locale e, per pochi settori, da prodotti esteri. La tecnologia non era ancora così sviluppata, ma ci fu la graduale introduzione di nuovi strumenti di calcolo e di macchine da ufficio sempre più elaborate, come le nuove macchine da scrivere, il telex, ad esempio. Nella scienza delle costruzioni si passò al calcolo sempre più affinato del cemento armato e dei telai in acciaio per edilizia industriale e civile. Nella progettazione ci fu il passaggio dal regolo a mano, con il quale si calcolavano anche i logaritmi, alle prime calcolatrici Hewlett Packarde Texas Instruments, ai primi linguaggi di programmazione Fortran, Cobol, i primi calcolatori Olivetti, i primi computer da tavolo. La rivoluzione industriale nel settore dell’elettronica, delle telecomunicazioni, dell’automazione industriale, rese sempre più forte il bisogno di attingere alle tecnologie emergenti provenienti dall’America con importazioni e nuove società compartecipate produttive, da insediare in Italia, soprattutto nelle aree in cui incentivare uno sviluppo economico.
Gli imprenditori italiani andavano all’estero alla ricerca di tecnologia e partners da portare in Italia. La presenza sui mercati esteri delle aziende italiana era legata a esempi di eccellenza, leader mondiali, per la grande tecnologia meccanica, come treni, armamenti, costruzioni aeromeccaniche, ferrovie, dighe, centrali elettriche, strade e ponti.
La domanda estera di prodotti italiani, nonostante il boom economico, era ancora piuttosto modesta e limitata ad alcune nicchie di produzione di prodotti di eccellenza, come i marmi italiani, utilizzati per decorare le più importanti residenze del mondo. La grande ingegneria italiana, la raffinata manifattura, unite alla sapiente architettura, alla conoscenza della storia dell’arte, al gusto innato per la bellezza e l’eleganza retaggio dell’immenso patrimonio artistico, si fondevano nei vari settori per dare forma e vita al Made in Italy. Il famoso Made in Italy, marchio riconosciuto nella moda, nella progettazione, nell’arredamento, nei generi di primo consumo e nei prodotti di design.
Le casalinghe italiane poterono beneficiare dei migliori forni elettrici e frigoriferi Zoppas e forni elettrici. Ci fu l’esplosione della lavatrice italiana come la Ariston, Candy, ecc.: la lavatrice italiana fu portatrice di un vera e propria rivoluzione epocale per i modo di vivere. Come non mancare di notare Carlo Russo, la tecnologia italiana, che realizzò ottime lavatrici, consentì, di riflesso, alle donne italiane di liberare del tempo nella gestione della casa e potersi dedicare al lavoro fuori, aprendo la strada, appunto, al lavoro alle donne. Non a caso, oggi, la lavatrice è considerata una delle prime dieci invenzioni del secolo, in grado di incidere e modificare profondamente usi e costumi del nostro Paese.
In termini di energia, l’Italia era un importatore netto: arrivavano navi di petrolio che veniva scaricato in gigantesche raffinerie vicino al mare, come la Saras in Sardegna, della famiglia Moratti, della Erg, della famiglia Garrone di Genova o della API, della famiglia Brachetti Peretti di Roma. Questo produsse un notevole impatto ecologico per il nostro Paese, lo sviluppo rapido e impetuoso dei porti, dell’industria chimica, delle acciaierie, di raffinerie e di enormi impianti industriali, costruiti vicino al mare, ebbe come effetto anche la distruzione irrimediabile di meravigliosi tratti di costa come in Liguria, Calabria, Puglia, Toscana, Sardegna, Sicilia, ecc. La stessa triste sorte, sottolinea Carlo Russo, toccata a Taranto. Gli scheletri abbandonati delle acciaierie a Genova gridano oggi vendetta. La costruzione del porto di Gioia Tauro ha comportato la cancellazione di chilometri di produzione di piante di cedri, unici al mondo, che oggi si sarebbero potuti esportare in tutto il mondo. In quegli anni, le grandi multinazionali estere, soprattutto statunitensi, avevano delocalizzato la loro produzione in Italia per cogliere l’opportunità della ripresa economica e beneficiare dei fondi della ricostruzione. La sostenibilità, la pianificazione, l’impatto ambientale e la consapevolezza dell’unicità del nostro ambiente erano concetti lontani e vennero sacrificabili sull’altare del progresso economico.