All’interno di uno scenario economico di riferimento divenuto ormai globale, il tema della competitività delle imprese italiane passa di necessità attraverso il perseguimento di strategie di internazionalizzazione che si identificano ormai come una fase evolutiva imprescindibile del business aziendale, quale che sia la dimensione della struttura produttiva. I temi dell’internazionalizzazione e la discussione intorno alle sue dinamiche di attuazione ha ormai raggiunto un tale livello di maturità e sviluppo che consente ormai di andare oltre la generica indicazione della necessità di aprirsi ai mercati globali e può ora tentare di focalizzarsi sulle sue strutturali e reali esigenze, sottraendosi al rischio di eccessive semplificazioni. Un approccio più consapevole su questi argomenti dovrebbe anche allontanare il rischio di affidarsi a percorsi di penetrazione estera sporadici o affidati allo sviluppo di alcuni clienti di riferimento, come accadeva regolarmente fino a qualche anno fa. Le numerose difficoltà e criticità incontrate da esperienze di questo tipo, spingono ad interrogarsi oggi su quali possano essere i fattori strategici da considerare per assicurare il successo di un processo di internazionalizzazione.
Le scelte in ordine al paese in cui avviare un’azione di espansione finanziaria ed economica, con quali modalità di ingresso e con quali tempistiche assorbono gran parte della riflessione sui temi della crescita estera delle imprese. Per quanto si debba riconoscere un ruolo rilevante a questi temi, si deve rimarcare che la riflessione intorno ad essi porta inevitabilmente a concentrare l’attenzione al di fuori dell’organizzazione aziendale, producendo delle risposte necessarie, ma non sufficienti, poiché lo sviluppo estero di una azienda è il risultato di un processo complesso, che esige, con ogni evidenza, un’analisi esterna, ma anche e in maniera prodromica un’analisi e una nuova organizzazione della struttura interna all’azienda stessa.
Affinità culturali con il Paese di origine, tassi sostenuti di crescita, competenze nei settori complementari e un buon livello infrastrutturale sono aspetti che hanno il loro peso ma non esauriscono l’ambito di valutazione dell’ingresso in un Paese estero. L’azienda deve effettuare una attenta analisi in merito al possesso o meno di una proposta di valore che sia adatta al mercato scelto e, soprattutto, alla presenza di risorse umane con competenze specialistiche e un profilo professionale idoneo per governare e gestire tutte le fasi e gli aspetti critici, che si prefigurano nella programmazione e nell’avvio di un business oltreconfine.
Solo da una corretta combinazione di queste analisi è in grado di incrementare in maniera significativa e duratore nel tempo le probabilità di successo di un processo di internazionalizzazione. Appare superfluo evidenziare, infatti, che analisi parziali o poco attente espongono l’azienda a risultati deludenti o, nella migliore delle ipotesti, altalenanti. Prima ancora di avviare un processo di internazionalizzazione, che abbia possibilità reali di successo, l’aspetto su cui è necessario appuntare un focus di analisi è quello relativo all’assetto organizzativo interno dell’impresa, a cominciare dall’organo gestorio. Come evidenzia Carlo Russo, Ceo e Founder di Affariesteri.it: “Per poter avviare un progetto volto allo sviluppo internazionale è necessario concentrarsi sulla struttura di gestione e, quindi, sulla composizione del consiglio di amministrazione, colonna portante di ogni società”.
Un CDA che abbia una reale autorevolezza e supportato dalla competenza di amministratori indipendenti – figura introdotta nel nostro sistema di corporate governance nel 1999 – è irrinunciabile per accompagnare in maniera efficace lo sforzo di espansione sui mercati globali di qualsiasi azienda.
Lo sviluppo di un business estero implica una complessità e molteplicità dei compiti, che possono essere affrontati solo grazie al contributo di specifiche figure professionale, che spaziano dall’area fiscale a quella finanziaria, passando per quella legale. Queste professionalità altamente qualificate e con uno spiccato profilo specialistico, lavorando d’intesa con il CEO, forniranno un contributo essenziale alla realizzazione di un programma aziendale incentrato su piani strategici mirati e specifici.
Successivamente il progetto di sviluppo aziendale sarà integralmente implementato dal CDA e, in virtù di ciò, si comprende perché una non adeguata comprensione dei vantaggi e dei rischi, o il mancato supporto al CEO, rappresentano le prime cause frenanti per il business internazionale delle imprese. Questo vale soprattutto per quelle imprese di tipo familiare, in cui i manager, per quanto dotati di competenze nell’ambito dell’internazionalizzazione, non sempre sono in grado di mitigare o superare in modo convincente l’avversione al rischio della proprietà.
Come si può intuire facilmente, ai fini di un processo di internazionalizzazione riuscito, la ristrutturazione del CdA in termini più performanti è condizione basilare che non esaurisce le necessità del compito.
Determinante è che la gestione dell’intero processo sia supportata sulla base dall’expertise e di un know-how di figure dedicate, come lo specialista di internazionalizzazione, vero apportatore di valore aggiunto in grado, come scrive Carlo Russo, di porre “le proprie capacità al servizio dell’impresa, in particolare le proprie competenze sui processi, le risorse, le competenze e la conoscenza dei mercati esteri e delle loro logiche, necessarie non solo per migliorare la performance ma, anche, per cogliere nuove opportunità commerciali”.