Nel suo Internazionalizzazione vincente Carlo Russo, dopo aver tracciato i profili storici dell’internazionalizzazione, soffermandosi anche sulla figura dell’esperto di internazionalizzazione e sull’evoluzione delle istituzioni e del loro supporto all’azione di espansione estera alle aziende, delinea alcuni cenni di storia del sistema bancario all’estero. Si parla delle prime fasi di avvio da parte dell’Italia e dei Paesi europei di una politica di multi-nazionalizzazione e di internazionalizzazione, in cui il supporto da parte delle istituzioni risultava piuttosto carente e improntato ad una scarsa conoscenza della materia. Proprio in mancanza di questa sponda istituzionale, osserva Carlo Russo, gli imprenditori avrebbero potuto trovare un partner naturale nel sistema bancario. Anche in questo caso, tuttavia, si scontava una scarsa preparazione in merito, in quanto nelle banche solitamente si gestivano valute, lettere di credito, crediti documentari, finanza all’import/export e, nei casi migliori, strumenti per la copertura del rischio di cambio. Nessun servizio di consulenza commerciale. Nessuna assistenza negli incontri con le controparti.
A questa situazione iniziale, si pose ben presto rimedio, soprattutto in virtù di una crescente e specifica domanda, e le banche cominciarono a organizzare servizi di supporto all’estero per la propria clientela. Proprio come ai tempi di Marco Polo, in cui alcune banche italiane, come il Monte dei Paschi di Siena, si erano specializzate nel finanziamento delle spedizioni di mercanti e merci verso la Cina, nel nostro Paese, a partire dagli anni ‘70 in poi e con un impulso più significativo negli anni ‘80, il sistema bancario italiano iniziò ad organizzarsi con filiali e rappresentanze all’estero. Questa riorganizzazione fu stimolata dalla necessità di sostenere le aziende italiane finanziandone i flussi di import ed export e il loro processo d’internazionalizzazione. Cominciarono ad affermarsi all’estero, accanto al Monte dei Paschi di Siena, per ragioni storiche tra le prime, l’Istituto San Paolo di Torino, il Credito Italiano, la Banca Commerciale Italiana, la Banca di Roma, e quasi per ultima, la Banca Nazionale del Lavoro.
Nel 1987, negli anni in cui Craxi era Premier, Andreotti Ministro degli Esteri e Formica Ministro delle Finanze, con la presidenza del socialista Nerio Nesi, la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) ricevette l’input di aprire in Cina, Brasile e India. Cominciò a circolare l’acronimo BRIC per riferirsi congiuntamente a Brasile, Russia, India e Cina ovvero Paesi con una situazione economica in via di sviluppo, una grande popolazione (Russia e Brasile centinaia di milioni di abitanti, Cina e India oltre un miliardo di abitanti ciascuna), un immenso territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e, cosa più importante, caratterizzati da una forte crescita del prodotto interno lordo (PIL) e della quota nel commercio mondiale, anche se tutte queste implicazioni non erano ancora ben chiare agli imprenditori italiani, all’epoca. Come ricorda Carlo Russo, nel 1988, la BNL era presente in Cina ed aveva avviato l’apertura di un ufficio di rappresentanza in India. Inoltre, aveva acquistato la licenza bancaria del Banco Denasa, in Brasile, dalla First Chicago, ed aveva aperto filiali a Rio, San Paolo, Brasilia, Porto Alegre e Belo Horizonte. Inoltre, rilevando il Banco Rio della Plata, avviò un processo di espansione con duemila sportelli anche in Argentina. Ugualmente presente in Venezuela, Uruguay, Canada, Lussemburgo, Germania, ecc. La Banca Commerciale Italiana era presente in Sudamerica, con la Banca Sudameris.
Nel 1989 la BNL subì delle ingenti perdite patrimoniali, ammontanti a circa quattromila miliardi delle vecchie di Lire, a causa delle irregolarità delle lettere di credito rilasciate dalla filiale di Atlanta, in merito alla esportazione di armi in Iraq. Da quel momento, osserva Carlo Russo, prese avvio un deciso declino della presenza estera da parte della BNL e, con essa, quella di una essenziale assistenza alle PMI italiane all’estero. All’imprenditore non rimaneva così che affidarsi a commercialisti, studi legali e intermediari locali, che fungevano da persone di loro fiducia, con l’inevitabile rischio che nei momenti di crisi questi professionisti fossero costretti, per poter sopravvivere, a rimanere fedeli ai loro clienti del posto.